Il 21 Febbraio esce
solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea di Michele Gazich e Giovanna Famulari
Viviamo immersi in una realtà,
in un presente così tremendo e incredibile (cioè difficile da credere), al punto che
, almeno per me, è stato ed è più semplice credere ai miracoli.
Michele Gazich
“solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea” Esce il 21 febbraio il nuovo album di inediti di Michele Gazich Quindici anni di lavorazione, nove canzoni e solo due musicisti in studio, l’autore e la violoncellista e cantante Giovanna Famulari, per un progetto inedito ed innovativo che vede la tradizione del classicismo viennese (Haydn, Mozart e Beethoven) e del primo romanticismo tedesco dialogare, in un accostamento ardito, irrituale ma incredibilmente seduttivo con la canzone d’autore
L’ALBUM E' STATO PRESENTATO LIVE IN PRIMA NAZIONALE AL FOLKCLUB DI TORINO
i intitola “solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea” (una coprodizione Moonlight Records/FonoBisanzio, distribuzione IRD), tutto scritto con le minuscole “in un (probabilmente vano) tentativo di porre in equilibrio un mondo in cui troppi tendono a darsi la maiuscola”: è il nuovo album di Michele Gazich in distribuzione sia digitale che fisica a partire dal 21 febbraio. Un progetto inedito ed innovativo che vede la tradizione del classicismo viennese (Haydn, Mozart e Beethoven) e del primo romanticismo tedesco dialogare, in un accostamento ardito, irrituale ma incredibilmente seduttivo con la canzone d’autore.
L’album è stato presentato live in prima nazionale il 21 febbraio alle ore 21 al FolkClub di Torino ( MICHELE GAZICH & GIOVANNA FAMULARI | FolkClub )
Qualche numero: 15 anni di lavorazione; 9 canzoni, tutte scritte da Gazich tranne una, solo 2 musicisti in studio (Michele Gazich stesso e Giovanna Famulari, con la quale il violinista, compositore e scrittore di canzoni, collabora da oltre cinque anni). In “solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea” la voce profonda di Gazich si alterna alla voce fresca di Giovanna; violino e viola dialogano con il violoncello; il pianoforte, talora affiancato dalla melodica, è strumento portante; il tutto punteggiato da tintinnii di misteriose “percussioni psicoacustiche”.
I due musicisti hanno nel loro curriculum collaborazioni molto significative: Gazich soprattutto con i songwriter statunitensi (si segnala la nomination ai Grammy Awards 2019 per l’album Rifles and Rosary Beads prodotto con Mary Gauthier), ma anche in Italia (nel corso del tempo è stata costante la sua presenza in varie cinquine al Tenco, ma senza mai vincerlo) con ripetuti tour nordamericani ma anche fino all’India, al Giappone e al Nord Africa.
Famulari, in Italia ed Europa con tour oltreoceano, è stata al fianco di molti grandi della canzone: da Tosca a Ornella Vanoni. Entrambi Gazich e Famulari collaborano stabilmente con Moni Ovadia.
Le tematiche sono quelle care a Gazich, quelle che attraversano secoli di arte, poesia e letteratura, ma restano più che mai attuali. Come dimostra il brano d’apertura “perché goethe è partito per l’oriente?” che fa riferimento alla profetica visione del poeta tedesco che, nel suo “West-Östlicher Divan”, annuncia l’incontro-scontro tra Oriente e Occidente in atto nel mondo contemporaneo. Un immaginario di storie, racconti e riflessioni, quello di Gazich, autore di testi e musica degli otto brani inediti, dove incontriamo anche Giovanna d’Arco, Marc Chagall, Wolfgang Amadeus Mozart, Ludwig van Beethoven, Franz Schubert, l’amico Paolo Finzi che fu anche direttore di A-Rivista Anarchica, Bert Jansch, i poeti Friedrich Hölderlin e Yves Bonnefoy, i film di Wim Wenders e l’attrice francese Solveig Dommartin. A metà album fanno capolino anche Fabrizio De André e Francesco De Gregori, data l’inedita riproposizione del brano Oceano. Ma il tutto è rimescolato, riattivato e ripronunciato grazie alla sensibilità particolarissima dell’autore: questo album non suona come nessuna altra musica o canzone; suona solo come Gazich. È un album che invita a “conoscere”, non a “ri-conoscere”.
TRACCIA DOPO TRACCIA (Guida all’ascolto a cura dell’autore)
1) perché goethe è partito per l’oriente? Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) nell’estate del 1814, a sessantacinque anni, si mise improvvisamente in viaggio verso i luoghi della sua infanzia nella renania: Wiesbaden, Erfurt, Eisenach, Fulda, Francoforte. Portava con sé la traduzione tedesca delle poesie del poeta persiano Hâfez (1315-1390). A Francoforte conobbe e amò la giovane Marianne Jung (1784-1860). A partire dal 1814 fino al 1827, Goethe lavorò al West-Östlicher Divan (Divano Occidentale Orientale): densissimo canzoniere d’amore in cui i modi della poesia orientale vengono riproposti con la sensibilità di uno dei più grandi poeti dell’occidente. Goethe cambia tutto: bruciato dall’amore, fa a pezzi le strutture fino a quel momento certe delle sua poesia e scrive un libro leggero e profondo insieme. definiva queste poesie “il gioco selvatico della polvere e del vento”. come tutti i poeti veri, Goethe è profeta e annuncia l’incontro-scontro tra Oriente e Occidente in atto nel mondo contemporaneo e ne sogna la soluzione, la dissoluzione, attraverso l’amore. cuore del canzoniere è la poesia Selige Sehnsucht (“Beato Struggimento”), che ha ispirato il mio testo e da cui sono tratti i versi in esergo che qui traduco: “…per desiderio di luce, tu bruci, farfalla”. Il tema musicale che introduce la mia canzone è un’esplicita citazione dal lied che apre un coevo viaggio di epoca romantica nell’interiorità dell’uomo: è il ciclo di lieder intitolato Winterreise (“Viaggio d’inverno”) di Franz Schubert (1797-1828) su testi di Wilhelm Müller (1794-1827).
2) sanguedolce Ho cominciato a scrivere questa canzone nel 2008. Queste musiche e queste parole mi sono giunte da un luogo tra la vita e la morte, dove cresce il pericolo e allo stesso tempo cresce ciò che salva. è il regno dell’idiota, del folle e del mistico: il regno della visione, del calore e della fiamma, anche di quella lucentissima del rogo di Giovanna D’Arco. A lei (e alla Giovanna che la canta) questa canzone è dedicata. Giovanna Famulari è incarnazione, epifania e vera presenza di giovanna d’arco oggi: ne porta il nome come uno scudo e un vessillo. 3) a lice nel paese di chagall Ogni terzo pensiero e almeno una volta ogni anno torno in pellegrinaggio al Museo Marc Chagall a Nizza, in Francia, il Museo del messaggio biblico. ci ritorno per contemplare quelle grandi tele, appese sulla parete nella posizione e nella sequenza scelte da Chagall stesso. sono opere nelle quali l’artista - da vecchio - coagula la ricerca di un'intera esistenza, mentre i colori si accendono nella pura luce del sole della costa azzurra appena filtrata da velari bianchi. dentro il colore fluttuanti - ogni volta trovo dettagli nuovi, nuove chiavi per interpretare non solo la bibbia, ma anche la mia vita. ad ogni nuovo incontro, la saggezza dipinta del vecchio Chagall mi rasserena e mi ammonisce con dolcezza. il Museo Marc Chagall è uno dei pochi luoghi dove riesco a pregare con fervore: un luogo dove si vede su tela ciò che si vede in sogno. in sogno ho sentito la musica e le parole che ora ascoltate: era un sogno d’estate, pieno di luce, sognato nel caldo di luglio di qualche anno fa. allora vivevo ancora tra gli ulivi, i grilli e le cicale sulle sponde del lago di Garda con Alice, a cui questa canzone è dedicata.
4) l a resa Ho scritto questa canzone mentre stavo cambiando vita e partivo per il mio personale pellegrinaggio in oriente: quello molto vicino (ma pur sempre oriente) del veneto orientale. qui il mare sta più in alto della terra, le notti sono chiare e ogni mattino porta nuvole dalle forme molto diverse. Venivo dalla Lombardia: lì le nuvole, che pur vedevo nella mia infanzia, sono scomparse. Ero pronto alla resa e in fondo lo sapevo. scavavo in cerca di parole, le tiravo fuori dalla terra come sassi e le soppesavo: alcune le rimettevo al loro posto, altre le seppellivo in luoghi distanti dopo averle portate in tasca anche per anni. Ciò che non sapevo era che tutte le mie parole avrebbero un giorno dato notizia della mia resa. Ora vivo immergente e felice sotto il livello del mare, totalmente arreso all’amore. La musica per questa canzone è stata scritta dalle onde del mare: di fronte a me di giorno e sopra di me quando dormo la notte. L’ho ascoltata e l’ho trascritta e poi, per custodirla, l’ho avvolta con un’altra musica che ora la introduce, la interrompe e la conclude. In questo caso non viene dal mare ma da Mozart: il tema dell’andante del Concerto per pianoforte e orchestra k. 488, da me liberamente adattato e “corretto”. Dio mi perdonerà per aver corretto Mozart? Le parole mi sono state date da chi mi ha portato alla resa, da Sofia che apparve circonfusa di luce il trenta di luglio 2019 nella piazza della cattedrale di Concordia Sagittaria. I versi di Yves Bonnefoy (1923-2016) in apertura (“io non so se questa notte chiara sia dentro o sia fuori”) sono tratti da Ensemble encore, l’ultima raccolta pubblicata dal poeta nella sua vita.
5) materiali sonori per una descrizione dell’anima di paolo f. E’ una composizione dedicata al mio amico Paolo Finzi. il 20 luglio del 2020, Paolo ha scelto di uscire dalla sua vita. Ho composto questo brano il giorno dopo la sua morte. Solo musica; non sono riuscito a scrivere le parole. Ho scelto di ricordarlo suonando la mia composizione in un battistero, un luogo dove si entra nella vita, perché ciò che Paolo ci ha insegnato è vivo. Il battistero, dove abbiamo registrato la canzone e girato un video, ha mille anni: è in stile romanico-bizantino; si trova vicino a Venezia, a Concordia Sagittaria. Ce n’è solo un altro simile: è a Istanbul. Il battistero oggi sembra un asteroide, un frammento da un’altra epoca più colta e attenta caduto sul nostro mondo imbarbarito. anche Paolo Finzi era un asteroide: libero, diverso dal mondo che lo circondava, il suo pensiero impattava deciso. Paolo era nemico delle circonlocuzioni. IL VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=jdWajKOeCrQ
6) oceano (parole e musica di Fabrizio De André e Francesco De Gregori) Questa è la canzone delle domande che fanno i bambini. Cristiano De André ha raccontato più volte che Francesco De Gregori e suo padre la costruirono partendo dalle sue parole, dalle sue domande quand’era bambino. Ma è anche, piuttosto misteriosamente, la canzone del “poeta sconfitto”: il poeta che si perde in un oceano di parole maledettamente poetiche ma fluttuanti e in cerca di un significato. La musica, circolare e dolcissima, è l’unica risposta possibile insieme alle rondini, alle campane e a un bacio sincero. Ho sempre amato questa canzone perché è un soffio di purezza, perché è totalmente immune al cinismo desolato e dolente, alla durezza di tante altre canzoni deandreiane.
7) la torre di hölderlin Il poeta Friedrich Hölderlin (1770-1843) visse la seconda metà della sua vita (dal 3 maggio del 1807 al 7 giugno 1843, giorno della sua morte) al secondo piano di una casa a forma di torre sulle rive del fiume Neckar, a Tübingen nel Baden-Württemberg, ospite del falegname Ernst Zimmer e della sua famiglia. quel 3 maggio Zimmer, per un generoso moto del suo cuore, era riuscito a portarlo via dalla vicina clinica per malati di mente del dott. Autenrieth, noto per aver inventato una sorta di museruola in cuoio, che impediva ai suoi pazienti di gridare. Il poeta era stato ricoverato a forza il 15 settembre 1806, preda - così dissero i “sani” - della follia. Hölderlin, negli anni precedenti alla sua “follia”, aveva scritto monumentali poesie e inni, audaci nel contenuto e nella forma, per i quali ancor oggi viene per lo più celebrato. Ma il poeta scrisse anche nella torre: poesie brevi, quasi tutte in quartine con un semplicissimo schema di rime, quasi tutte serene vedute stagionali della campagna circostante alla torre. Queste Poesie della torre non somigliano a nulla di quanto il poeta scrisse arditamente e vertiginosamente prima della “follia”: ad un primo sguardo sembrano banali, ripetitive, canzonettistiche; al secondo sguardo spalancano nuove porte alla contemplazione del creato. queste poesie non somigliano a nulla di quanto scritto in occidente fino a quel momento, possono ricordare l’essenzialità degli haiku giapponesi che, con la medesima eleganza e semplicità, celebrano l’avvicendarsi delle stagioni. Hölderlin volle e riuscì a ritirarsi dal mondo violento degli uomini per immergersi nella pacificante contemplazione della natura. Hölderlin non era folle.
8) heiligenstadt Nella primavera del 1802 Ludwig van Beethoven (1770-1827), inquieto, in scacco esistenziale, in sofferenza per la sordità crescente, dopo circa ottanta (!) traslochi all’interno della città di Vienna, si trasferì a vivere nel borgo di Heiligenstadt, ai margini della città. Heilgenstadt significa “città santa”, il suo stemma è l’Arcangelo Michele che combatte contro il demonio. In questo luogo il duello di Beethoven con il male di vivere e con la malattia si fece insopportabile, al punto da portarlo, tra il sei e il dieci ottobre di quell’anno, a redigere quello che oggi viene chiamato Il testamento di Heiligenstadt, una lettera indirizzata al fratello, ma in realtà rivolta a tutti noi: “o voi uomini…” ne è l’incipit. La conclusione dello scritto è una disperata postilla, che ha dato origine al testo della mia canzone e che qui riporto integralmente (la traduzione è mia): Da leggersi e compiersi dopo la mia morte Heiligenstadt, 10 ottobre 1802 Così me ne andrò - e veramente triste. Sì: l’amata speranza di poter almeno in parte guarire che ho portato con me fino a questo punto, mi ha ora completamente abbandonato. Come in autunno le foglie cadono e poi si seccano, così per me la speranza si è inaridita. Me ne vado da questo mondo quasi nello stesso stato in cui vi ero arrivato. Il grande coraggio, che spesso mi dava forza nelle belle giornate d’estate, è scomparso. o provvidenza, concedi che almeno una volta io viva un puro giorno di gioia – è da tanto tempo ormai che l’eco più intima e profonda della vera gioia mi è del tutto estranea. O quando, quando, o divinità, potrò di nuovo percepirla nel tempio della natura o degli uomini? Mai? No, sarebbe troppo duro. Beethoven non spedì mai quella lettera, ma la conservò. Continuò a lottare con la vita per altri venticinque anni, a cercare e infine a trovare nell’arte la gioia: più forte del dolore e della malattia. Musicalmente la mia canzone declina per violoncello e pianoforte un’allusione esplicita al motivo musicale che caratterizza un altro testamento di un altro grande musicista: The black swan, l’ultima canzone scritta da Bert Jansch (1943-2011), che apre e dà il titolo al suo ultimo album. Il cigno nero, naturalmente, è la morte.
9) solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea Viviamo immersi in una realtà, in un presente così tremendo e incredibile (cioè difficile da credere), al punto che, almeno per me, è stato ed è più semplice credere ai miracoli. Ho scritto quest'album in un periodo lungo anche per i miei standard già abitualmente biblici: dal 2008 al 2024. Anche le registrazioni mi hanno impegnato per un tempo insolitamente lungo: dal 29 settembre 2017 al 16 novembre 2024. Non ho avuto fretta, nel frattempo ho pubblicato altri album e ho vissuto. Tenevo da parte tutte mie le canzoni più belle, con l’idea che avrei lasciato un bel ricordo al momento della mia morte. Pensavo a questo album come al mio album postumo. Ma poi è stato troppo forte il desiderio di cantare e di far conoscere queste canzoni. Ho pensato che esse, come avevano aiutato me a vivere per tanti anni, così potessero fare anche per altre persone. L'album è interamente suonato e cantato solo da Giovanna Famulari e da me, tranne in quest’ultima canzone, dove entra un coro: Il coro dei puri di cuore. Forse può essere utile sapere che mi hanno accompagnato nella stesura di questo testo l’immagine e il pensiero di Solveig Dommartin (1961-2007) e di sua figlia Vénus Antraygues Dommartin. Nella sua breve vita Solveig Dommartin entrò volando in tre film di Wim Wenders: Il cielo sopra Berlino (1987), Fino alla fine del mondo (1991), Così lontano, così vicino (1993). Seguiranno miracoli.
CREDITI
Michele Gazich: voce, violino, viola, pianoforte, percussioni psicoacustiche
Giovanna Famulari: voce, violoncello, melodica
Testi, musiche, produzione artistica: Michele Gazich
Registrato da Paolo Costola presso lo studio Macwave di Brescia e all’interno del Battistero di Concordia Sagittaria, Venezia (Materiali sonori per una descrizione dell’anima di paolo f.) tra il 29 settembre 2017 e il 16 novembre 2024
Registrazioni aggiuntive realizzate da Paolo Modugno tra il 22 febbraio e il 22 aprile 2024 presso lo studio Oasi di Roma e da Fabrizio “Cit” Chiapello tra il 4 marzo e il 14 maggio 2024 presso lo studio Transeuropa di Torino
Mixato da Paolo Costola e da Michele Gazich tra l’8 giugno 2021 e il 16 novembre 2024
Masterizzato da Paolo Costola
Fotografia di copertina “Michele Gazich da bambino”: Ken Damy
Fotografia retrocopertina: “Giovanna Famulari da bambina mentre ascolta un’arancia”: archivio Famulari
Fotografia al centro del libretto: Maurizio Malabruzzi
Progetto grafico: Angela Iussig, Manuela Hüber Michele Gazich
sul web: www.michelegazich.it
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