Autore, produttore e performer, Jono Manson intreccia i fili di una vita e una carriera degne di nota per dar vita nel suo nuovo album “Stars Enough To Guide Me” a un arazzo musicale coeso e affascinante. Inciso nello studio di Manson a Santa Fe, il Kitchen Sink, il disco vede la partecipazione di numerosi special guest: dal vincitore di Grammy John Popper, alla finalista di “American Idol” Crystal Bowersox, fino alla portavoce del folk americano Eliza Gilkyson. Il risultato è un sound coerente ma al contempo eclettico, che riesce a guardare al futuro senza però mancare di onorare il passato. I brani sono variegati e sfidano i confini tra i generi musicali, attingendo alle tradizioni roots, rock, soul e country per tracciare vividi ritratti di personaggi resilienti che resistono con fierezza all’inesorabile avanzare del tempo. Anche le performance di Manson giovano di una simile determinazione, trasmettendo una passione e una convinzione che sono tanto sincere quanto empatiche. Infatti “Stars Enough To Guide Me” è tutt’altro che un nostalgico viaggio lungo il viale dei ricordi. È invece l’inizio di un nuovo capitolo, l’opera di una artista impegnato con risolutezza a continuare a creare un lascito, una canzone dopo l’altra. “Canto meglio di come abbia mai fatto, mi comprendo a un livello più profondo e sono nel mezzo di una delle fasi più creative e prolifiche della mia vita” racconta Manson. “Avrò anche più di sessant’anni, ma mi sembra di essere appena all’inizio.” Tra le note di questo disco non è difficile intuire il viaggio di Manson. L’appassionato brano d’apertura “Lights Go Out” è una riflessione sulla perseveranza in tempi di difficoltà, mentre “The Further Adventures of Goat Boy and The Clown”, con le sue sonorità ispirate agli Stones e all’R&B, racconta la gioia e l’assurdità della vita on the road e la dolente “Timberline” (duetto con Trevor Bahnson) pondera la natura terapeutica della regione del Mountain West. Se in “As Long As Grass Grows” Manson ritrova il retro soul delle sue radici nelle band da bar e nell’esuberante “Before We Get Stupid” (con la voce di Bowersox) si lascia andare, i momenti salienti dell’album sono quelli più personali. Il duetto con Popper “No New Kind Of Blue”, spinto da dobro e armonica, ci regala un approccio spigliato e giocoso a solitudine e isolamento e la malinconica “Late Bloomer” riflette con grazia poetica sulla mortalità e l’avanzare degli anni. “Sono sbocciato tardi sul versante più lontano della collina” canta Manson su una delicata base di piano e chitarra, “Giro il volto verso i raggi del sole ma riesco a sentire il freddo”.
Nato e cresciuto a New York, Jono Manson ha avviato la sua carriera da professionista negli anni ’70, quando ancora teenager si esibiva in discutibili dive bar in cui set di sei ore erano la norma e le serata di rado finiva prima dell’alba. All’inizio degli anni ’80 era ormai una figura rispettata nel circuito dei club e la sua band, i Joey Miserable and The Worms, era considerata tra quelle da tenere d’occhio. Il “New York Times” li definì “eroi locali” e riconobbe loro il merito di aver influenzato “innumerevoli” altri artisti, tra cui Joan Osborne, che di loro disse che erano “maestri dell’intrattenimento” che “tenevano sempre in pugno il pubblico”. Nei decenni a venire Manson si è costruito una carriera incidendo dischi e lavorando come produttore anche in Italia, dove ha collaborato con Edoardo Bennato e The Gang, con i quali c’è un importante sodalizio. “Jono - ha detto Marino Severini - è per noi, per me e Sandro, il ‘terzo Gang’. Averlo incontrato sulle Vie infinite dei Canti è stato e resta il bacio in fronte della Fortuna. Con Jono è tornata la voglia di fare i dischi, di incidere le nostre canzoni, una voglia che si era esaurita. È stato capace di resuscitarci. È un guru come produttore, ha delle doti rarissime e preziose come l’umiltà, il rispetto, la comprensione, la devozione. Nella nostra storia, oggi posso dire che c’è stato un tempo prima di Jono e un tempo dopo Jono, in cui lui ha fatto la differenza”. Ha registrato album come il pluripremiato disco di platino “Four” dei Blues Traveler e, nel suo studio in New Mexico, ha collaborato con artisti del calibro di Amanda Palmer, T Bone Burnett e Ray Wylie Hubbard. Alcune sue canzoni sono entrate nelle colonne sonore di grandi film e la sua attività di produttore si è espansa fino in Pakistan. Per festeggiare il novantesimo compleanno di Pete Seeger, si è esibito al Madison Square Garden accanto a Bruce Springsteen, Taj Mahal, Emmylou Harris e Joan Baez
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